Tenet conferma i miei timori su questa nuova fase di Christopher Nolan.
L’ultima pellicola del regista britannico è un grandissimo esercizio di stile in cui la forma sopprime prepotentemente la sostanza.
Dunkirk aveva lasciato dei chiari indizi sulla direzione che voleva prendere il regista: lungometraggi perfetti dal punto di vista tecnico ma privi di sentimento.
Tenet segue questa nuova via ed è infatti un film stilisticamente eccellente, con un montaggio e una regia fenomenale.
La qualità oggettiva è però proporzionalmente inversa alla sua potenza emotiva. Uscito fuori dalla sala la mia mente era soddisfatta ma il mio cuore vuoto. Tenet non ha toccato nessuna corda emotiva, non è riuscita ad emozionarmi. Quello che ho visto è stato un esercizio registico che pecca nel suo essere intellettuale; come se Nolan volesse accontentare per forza tutti quelli che lo definiscono visionario.
La storia, la quale mi piace definire come Memento ma dove l’inversione temporale è un principio scientifico, spicca per originalità e, seppur nella prima parte del film sia poco sfruttata diventa protagonista assoluta nella seconda.
Non convince affatto il protagonista: non è niente altro che l’eroe a cui è capitato di dover salvare il mondo. Alla fine di lui non sappiamo niente: cosa vuole, qual è la sua morale, i suoi desideri. Inoltre la mancanza di relazioni sentimentali rilevanti con gli altri personaggi lo distacca maggiormente dello spettatore. Risulta così insipido, noioso e totalmente dimenticabile, ben lontano dal Leonardo di Caprio in Inception o Matthew McConaughey in Interstellar.
Tenet è un monumento di marmo, modellato da uno studente ora maestro di quell’arte. Al tatto è freddo e alla vista nulla di più di un oggetto ornamentale.
Nolan dovrebbe guardarsi indietro, quando era un giovane con una regia non perfetta ma fatta con passione. Quando ci teneva di più agli affetti e meno agli effetti.
scritto da Filippo Giacometti