Avatar: la via dall’acqua
Dopo tredici anni di attesa, il secondo capitolo di Avatar è arrivato al cinema. Avatar: la via dell’acqua è solo spettacolo senza cuore?
Ogni anno, per qualche strana ragione, in America devono girare un film che parli di storia americana o/e di razzismo. A pensarci quest’anno ci ha pensato la semisconosciuta regista Ava DuVernay che ho voluto raccontare la storia di Martin Luther King, Jr. quando nel 1965 iniziarono le marce per concedere ai cittadini di colore statunitensi il diretto di voto.
Come mi immaginavo il risultato è deludente: le pellicola è il classico stufato pensato per il pubblico a stelle e strisce, creato più per scopi educativi che per fare un bel film. Sequenza storiche prese di peso senza nessuna volontà di mostrarle sotto una lente diversa, con le solite scene di discorsi che cercano di emozionare ma che non funzionano per un pubblico diverso da quello per cui è stato pensato. L’interpretazione è basilare, niente di incredibile, per tutti gli interpreti. Dove c’è emozione non è per la qualità del film ma per le scene ricalcate dagli eventi veramente accaduti. Questo film è un libro di storia filmato e sentendo alcune recensioni, nemmeno molto accurato a livello storico. Ovviamente la critica americana lo adora fin tanto che su Metacritic ha 89.
Selma ha il tipico difetto di diversi film storici: prendere una grande storia realmente accaduta e pensare che basti per realizzare un gran film. Un modo di pensare sbagliato e che funziona solo per gli allocchi (tipo la vecchietta vicino a me che diceva “Strano che ci sia così poca gente. E’ un bel film” e la sua amica “Ma non l’hai ancora visto” e lei “Ma ho visto le immagini”).
Se siete attirati, frenate i vostri impulsi e andate a vedere Whiplash o Birdman, magari entrambi. Non ve ne pentirete.
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